LO SHOPPING PUÒ DIVENTARE UNA DIPENDENZA?

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Fare acquisti è liberatorio. Così pare, se partiamo dal presupposto che nel momento in cui un oggetto in vendita attira il nostro interesse, poterlo ottenere colma quel vuoto, spegne quel desiderio acceso attraverso il suo soddisfacimento.

Il processo che porta un individuo ad imparare a procrastinare la realizzazione di un bisogno è lungo e tortuoso, soggetto ad infiniti rallentamenti, a volte a veri e propri blocchi. 

Fare shopping è euforizzante. Ci sentiamo capaci, e non tanto perché confermati nella nostra abilità di provvedere alle risorse economiche necessarie a procurarci ciò che ci piace, piuttosto perché siamo rassicurati dalla verifica che siamo in grado di rispondere in autonomia ai nostri desideri, se non addirittura ai nostri bisogni. Il complesso processo cognitivo ed emotivo ha un correlato neurofisiologico nel rilascio a livello cerebrale di neurotrasmettitori deputati alla percezione di sensazioni piacevoli. Soprattutto la serotonina, l’ormone che deve il suo nome alla fusione delle parole siero (in latino ….) e tonico (in greco…), governa questo meccanismo che soggiace alla “legge stimolo-risposta” e si mantiene grazie al “rinforzo” dell’azione, rinnovando ogni volta il suo talento nel recare buon umore e ridurre ansia e aggressività.

Le cose si complicano quando il piacere legato alla realizzazione di un desiderio diventa un’ossessione alla ricerca disperata del soddisfacimento di un bisogno, un “vuoto” emotivo che l’individuo sente di dover “riempire” con urgenza, pena la propria sopravvivenza. Un pensiero fisso e non procrastinabile che si ripresenta con frequenza sempre maggiore, una priorità che mette in secondo piano qualsiasi considerazione di opportunità, inficia la possibilità di inserire un pensiero in un atto che diventa reattivo ad una condizione emotiva intollerabile. Lo shopping compulsivo diventa allora il fugace lenitivo di fronte alle piccole, grandi insoddisfazioni della vita, alle difficoltà psicologiche delle quali non è stato possibile farsi carico, alle paure che non hanno potuto diventare parola e pensiero.

Questo fenomeno non è nuovo, ma solo recentemente ha assunto rilevanza dal punto di vista nosografico, interrogando gli studiosi della mente, del comportamento e dei vissuti emotivi rispetto al considerarlo o no una patologia. Basti pensare che il famoso psichiatra tedesco Emil Kraepelin, insieme allo psicologo svizzero Eugene Bleuer, identificò per la prima volta i sintomi alla fine dell’’800, coniando il termine “oniomania”, dal greco “onios” (in vendita) e “mania”.

Questa incontrollabile pulsione che porta ad una tensione crescente deve essere immediatamente sedata nell’individuo che ne è vittima, assumendo caratteristiche simili al meccanismo che governa l’abuso di sostanze, come alcol e stupefacenti, ma anche quei comportamenti disfunzionali che diventano espressione di un malessere profondo che merita di essere individuato, come la cleptomania e il gioco d’azzardo compulsivo, fino a quei comportamenti, un tempo sottovalutati che solo più recentemente sono divenuti oggetto di attenzione perché condividono il medesimo substrato, come la dipendenza da internet (IAD- Internet Addiction Disorder), l’atletismo esagerato e, appunto, lo shopping compulsivo.

Purtroppo l’euforia è solo passeggera, e lascia spazio ad un vissuto di impotenza, tristezza, colpa e vergogna per non riuscire a regolare i propri impulsi in un comportamento che fatalmente arriva a coinvolgere la famiglia e i rapporti sociali, esponendo l’individuo, nelle situazioni più esasperate,  a ripercussioni economiche e a volte alle conseguenti implicazioni legali.

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