GENITORI ELICOTTERO

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Testo dell’intervista rilasciata al giornalista Marco Jeitziner del magazine del sabtao “Ticino7” del quotidiano “La Regione”. 18 giugno 2022

La psicologia come spiega questi “nuovi genitori”? 

C’è chi afferma che – oltre alla storia personale e familiare di ciascuno – uno dei motivi sia quello del figlio unico (che viene super viziato, protetto e coccolato) o ce ne sono altri? Quali? 

In ogni adulto riverbera l’immagine genitoriale che porta dento di sé, che deriva dalla sua storia personale, un “gruppo interno” che funziona come un modello cui ispirarsi oppure dal quale distanzarsi, a seconda dell’esito delle vicende personali di ciascuno. Un figlio rappresenta uno schermo sul quale vengono indirizzate  proiezioni non sempre consapevoli: può costituirsi come lo strumento per sopperire alle mancanze che l’adulto sente di aver accumulato, puo rappresentare la possibiità di sperimentare un nuovo rapporto genitoriale inedito. Lo sforzo che continuamente i genitori sono chiamati a compiere è quello di misurarsi sull’unicità del figlio per poterlo “vedere” per quello che esprime, accompagnandolo in un percorso che inevitabilmente deve poter incontrare il fallimento e la frustrazione che ne deriva. A volte per i genitori questo pensiero è inconcepibile e allora ecco che si sostituiscono ai figli per spianare loro la strada, prevenire le difficoltà, redimere i conflitti, forgiare la propria creatura a loro immagine e somiglianza o, anche, affinché realizzi ciò che in loro non è potuto essere. 

Dal suo osservatorio, ci sono “genitori elicottero” (o figli di essi) che stanno seguendo una terapia? 

Ci sono genitori sconcertati di fronte alla singolarità del proprio figlio, mai conoscibile fino in fondo. Alcuni adulti sono smarriti e appaiono sforniti di strumenti di comprensione per permettere al figlio di svilupparsi secondo la propria natura, di esprimere i propri talenti, per permettersi di essere differenti da chi lo ha messo al mondo. Adulti che si sentono traditi dai figli. 

Specularmente vi sono figli che non riescono a spiccare il volo perché faticano a percepire il loro progetto di vita: un’immagine che sta prendendo forma, un disegno ancora ignoto che stenta a staccarsi dalla figura sfondo che è stata pensata per lui per emergere in primo piano, qualunque forma esso assuma.

Il più delle volte ad entrambi non è chiaro dove origini la loro difficoltà.

Sono più le “nuove mamme” iper-apprensive o si notano anche dei papà, visto che oggi chiedono (giustamente) di essere sempre più coinvolti nella genitorialità? Perché? 

Gli uomini hanno manifestato una progressiva adesione ad un modello femminile di accudimento della prole, in una più equa ripartizione dei compiti con le proprie compagne all’interno della famiglia, donne che lavorano e che non sentono più di avere l’imprimatur sulla crescita dei figli. I figli non sono più delle mamme, i papà sono entrati nelle viende scolastiche, nelle diatribe del parco giochi, nella scelta dell’abbigliamento, negli amori adolescenziali dei figli. Sono maschi più presenti e teneri, lontani dall’immagine del padre-padrone, ma a volte troppo invadenti lo spazio del figlio. Si avverte la fatica attuale del codice paterno di rappresentare il mondo esterno e favorire con la necessaria improntitudine la spinta verso l’autonomia dei figli, che rischiano di rimanere intrappolati in un amore vincolante e colpevolizzante.

Molti analisti sostengono che i “genitori elicottero” in modo inconsapevole possono creare dei disturbi nella crescita dei figli in termini di ansie, paure, autostima, patologie varie (tipo anoressia, bulimia), consumo di stupefacenti ecc. Lei concorda e perché? 

Sempre difficile e rischioso definire relazioni dirette e arrivare a conclusioni univoche. Sicuramente la presenza amorevole dei genitori che sostengono alla giusta distanza lo sviluppo dei figli, se diventa oppressiva e limitante l’espressione della natura e lo sviluppo della loro autonomia, può costituire il substrato di un’ansia che assume diverse forme e intacca l’autostima, minata dalla onnipresenza di genitori che con l’intento di sostenere il figlio gli impediscono di attraversare il vuoto che suscita il nuovo, affrontare il rischio di vivere, apprendere dalle sconfitte, godere di un gratificante senso di autoefficacia. Le dipendenze patologiche, di cui i disturbi del comportamento alimentare possono essere considerati una declinazione, possono trovare un terreno fertile nella disregolazione della “giusta distanza”. 

Quali problematiche osserva nei figli di questi “nuovi genitori” in termini di personalità, maturità, autonomia, lavoro, scuola ecc.? Se non ci sarà un cambiamento in termini educativi dei genitori, tra alcune generazioni ci saranno delle conseguenze e quali? 

Personalità immature e dipendenti, difficoltà a mettersi in gioco ed assumersi dei rischi, mancanza di passioni che fanno tremare le ginocchia, difficoltà a confrontarsi con il limite che inevitabilmente si trova al di fuori della famiglia che ha sempre evitato le frustrazioni, supponenza ingiustificata a scuola e successivamente nel mondo del lavoro, che diventano inevitabilmente ambiti affollati di insegnanti incompetenti e responsabili insensibili, incuranti delle necessità di questi giovani adulti mai completamente cresciuti.

Ci sono differenze tra figli maschi e femmine di genitori iper-apprensivi? In genere alle femmine viene detto più spesso di “fare attenzione” (per motivi socioculturali e di genere) ma ho notato che succede anche coi maschi (che di solito vanno di più alla scoperta, rischiano, si fanno male ecc.). Bloccando i figli, dicendogli sempre di stare attenti o che “è pericoloso”, lo sviluppo dei maschi come ne risente? E quello delle femmine? 

Le situazioni possono essere molto diverse perché le variabili che concorrono a determinarle sono molteplici e sfaccettate. Le ragazze oggi non accettano più di essere oggetto di trattamento differente in ragione del loro genere. Anzi, come spesso succede quando una situazione viene estremizzata, anche la reazione che genera assume i caratteri dell’eccesso. I genitori riportano spesso maggiori difficoltà nella relazione con le adolescenti che non con i loro fratelli. Anche le reazioni al comportamento iperprotettivo dei genitori non è univoca: in alcuni casi trasgredire diventa una necessità vitale, altre volte la paura di non farcela e la possibilità di fallire inibisce la creatività, mortificando lo slancio vitale e la possibilità di fare impresa non solo nel mondo professionale, ma anche nelle relazioni.

Quali consigli si sente di dare a questi genitori troppo apprensivi? 

I consigli non fanno parte della mia natura. Il primo passo potrebbe essere quello di aiutare i genitori a rendersi conto di essere iperprotettivi, che non è scontato. E di supportare il loro processo di autonomizzazione affinché consentano al figlio di operare il proprio. Ritengo il gruppo condotto secondo il modello psicosocioanalitico uno strumento potente, attraverso l’apprendimento vicariante e il confronto con altri genitori, per smantellare pregiudizi, favorire l’introspezione, ritentare nuovi modelli relazionali, arieggiare le emozioni. E sentire di non essere soli in un compito, quello genitoriale, sicuramente impegnativo, ma insieme meraviglioso perché foriero della scoperta del figlio.

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