LE FOBIE DAL PUNTO DI VISTA DELLA PSICOANALISI

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La fobia non è paura, non è timore per la probabilità che un evento si verifichi. Non è fastidio per un oggetto o per una situazione. Se siamo ansiosi perché posti di fronte ad una prova che ci sollecita particolarmente, per noi nuova o particolarmente impegnativa, proviamo ansia, timore di non riuscire, preoccupazione anticipatoria quando ci immaginiamo in quella situazione che tanto ci ingaggia. Ad esempio esporre una presentazione ad un congresso, esibirsi in una performance di danza, dover sostenere l’esame per la patente o affrontare le prove di licenza scolastica. Si tratta di una paura giustificata, in qualche modo.

La fobia invece è sempre irrazionale e apparentemente ingiustificata, non si stempera di fronte alle evidenze della ragione che inutilmente cercano di evidenziare le incongruenze dei vissuti fobici, che non trovano riscontro al’esame di realtà: sappiamo bene che l’aereo è il mezzo di trasporto più sicuro, che nessuno è mai morto in una cabina di ascensore, e che nulla può capitarci in una grande piazza di differente da ciò che può accaderci altrove. Ma è interessante cercare di comprendere il significato che la fobia riveste, il messaggio non sempre di facile lettura che la fobia sta veicolando.

Freud parlava delle fobie come angoscia che viene indirizzata su un una situazione o un oggetto che diventa l’oggetto fobico che definisce quella particolare fobia: paura degli spazi aperti è agorafobia, dei luoghi chiusi è claustrofobia, la paura di arrossire si chiama eritrofobia, se la fobia riguarda gli animali è detta zoofobia, e via dicendo. La paura è decisamente sovradimensionata rispetto allo stimolo che la provoca e non serve a nulla forzare una situazione facendo appello alla ragione, il rischio è quello dello scompenso emozionale per l’invasione a livello psichico di una paura irrazionale e incontrollabile nei confronti di un oggetto o una situazione che viene percepita portatrice di minaccia e pericolo. Essere esposti all’emozione disturbante di una fobia nei confronti della quale non è possibile ritrarsi può portare a veri e propri scompensi psicotici e attacchi di panico. Freud inoltre traccia una linea di demarcazione molto netta tra le fobie e le ossessioni,contraddistinte da un carattere compulsivo, maggiormente ascrivibili ad un aspetto traumatico non elaborato che diventa molto impegnativo identificare in prima istanza, e andare a sviscerare in seconda battuta. L’angoscia pare essere inoltre l’elemento dirimente tra fobie e ossesioni, che ne sono prive.

Diversi sono i punti di vista rispetto alla terapia della fobia, questi variano in relazione all’approccio terapeutico. Per la psicologia cognitivo-comportamentale si parla di desensibilizzazione, cioè dell’esposizione graduale, in ambiente controllato e attraverso l’accompagnamento del terapeuta al contatto con l’oggetto fobico o con la situazione che genera angoscia. Non va dimenticato che fobia è un termine che origina dalla concezione psicoanalitica e che il padre dello psicoanalisi riteneva inutile, e addirittura controproducente e dannoso, dissuadere la persona rispetto all’irrazionalità della propria fobia, ma che piuttosto fosse imprescindibile ricercare il significato inconscio del sintomo fobico per quella persona, ricordando che il sintomo riveste una funzione protettiva rispetto all’invasione dell’angoscia a livello psichico. La fobia quindi va intesa come un segnale che merita di essere analizzato, interpretato e dotato di significato per chi ne è portatore. Fobia, dunque, come segnale di una difficoltà inconscia che non può essere guardata e che va difesa attraverso la funzione protettiva del sintomo fobico rispetto all’angoscia e al panico. Strappare quella difesa senza averla potuta dotare di significato all’interno della narrazione del paziente può davvero essere troppo devastante per la persona che si troverebbe “nuda” di fronte alla violenza dei suoi vissuti con ripercussioni psicologiche di non lieve portata.

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