COSA SUCCEDE NEL NOSTRO CERVELLO QUANDO CI INNAMORIAMO?

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LA BIOLOGIA DELL’AMORE

Quando siamo innamorati sentiamo le farfalle nello stomaco!

Se pensiamo al cervello come sede della mente, possiamo dire che si attivano sicuramente delle reazioni biologiche che sono il correlato neurofisiologico delle emozioni coinvolte nel processo di innamoramento, essenzialmente a carico di alcuni ormoni e neurotrasmettitori. I neuroscienziati ci hanno spiegato che alcune sostanze implicate in questi processi, come le endorfine e gli estrogeni, sono legate al desiderio sessuale, altre piuttosto all’amore romantico, come la norepinefrina che provoca un misto tra euforia e nervosismosmo, e la dopamima che infonde benessere e un senso di efficacia. Alcune altre risultano essere alla base del processo di attaccamento e quindi anche delle difficoltà legate alla dipendenza nella relazione,  come l’ossitocina che regala rilassamento, insieme alla vasopressina. La serotonina ci dà energia e positività. E potremmo continuare…

LA PSICOLOGIA DELL’AMORE

Dal punto di vista psicologico, invece, l’amore è una pulsione vitale che origina dalla mancanza, dal vuoto che crea il desiderio del nuovo e dell’inedito di noi stessi che scopriamo negli occhi dell’altro, attraverso ciò che ci viene rimandato dallo sguardo dell’amato.

L’amore e i comportamenti che ne derivano assolve inoltre alla funzione fondamentale della prosecuzione della specie attraverso l’atto sessuale, la gravidanza e la nascita.

Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, era convinto che l’amore tra uomo e donna potesse essere riassunto in due grandi categorie : l’amore di appoggio e l’amore narcisistico. Il primo caso riguarda l’investimento amoroso nei confronti di una persona che svolge una funzione materna, di cura, di sostegno. Il secondo invece concerne una spinta a prendere come oggetto d’amore se stessi,  trovando soddisfacimento nell’essere amati piuttosto che nell’amare.

Seguendo questo filo logico, si potrebbe dire che nella scelta d’amore narcisistica si ama l’altro non per quello che è, per le sue reali caratteristiche, ma per quello che vorremmo fosse, o per quegli aspetti che ci hanno colpito in fase di innamoramento: dunque una sorta di idealizzazione del partner al quale vengono attribuite qualità che magari sentiamo manchevoli in noi stessi.

Personalmente ritengo che la modalità con la quale stiamo in un rapporto amoroso dipenda essenziamente dalla prima relazione d’amore che abbiamo sperimentato: quella con la madre e, subito dopo, con la coppia genitoriale. Le vicissitudini che hanno caratterizzato quel rapporto nel corso dello sviluppo da neonato ad adulto influenzano fortemente la nostra pulsione verso un determinato oggetto d’amore piuttosto che un altro.

Amore è desiderio dell’altro, un’alterità distinta da me, per godere reciprocamente della vicinanza dei corpi e delle anime senza annullarsi nella relazione o – all’estremo opporto – senza prevaricarsi.

Quando il processo identitario non ha potuto svilupparsi armoniosamente il rischio è quello di essere attratti da individui che, per le loro caratteristiche di personalità (che dipendono a loro volta dalle loro vicende personali) favoriscono l’instaurarsi di una relazione impari – che può diventare dipendente, simbiotica ma, paradossalmente, può anche avere i tratti di un legame quasi evanescente – proprio per la difficoltà a mantenere quella separatezza che nasce dall’individuazione e consente di tenere la giusta distanza che alimenta il continuo desiderio di conoscere l’altro e permette di rispettarlo nella sua diversità.

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